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Lungomare Catulo, s.n.c.

Il Lungomare di Ostia, luogo di passeggiate e aperitivi, nasconde una realtà parallela: una comunità di senzatetto che vive in roulotte e camper logori. Non turisti, ma residenti invisibili, stabilmente insediati tra degrado e tentativi di normalità.

In Italia sono oltre 96.000 le persone in precarietà abitativa, e a Roma almeno 8.000. Sul litorale la differenza tra chi si gode il mare e chi vi sopravvive è sottile ma netta: camper ordinati a Piazza Sirio, degrado e rifiuti a Piazzale dell’Aquilone. Qui la sopravvivenza quotidiana è l’unica regola.

Il contrasto col mio passato da camperista, fatto di viaggi e sogni familiari, è stato forte: quegli stessi mezzi, per me simbolo di libertà, diventano qui rifugi di disperazione, ma forse anche scrigni di ricordi felici.

La fotografia mi ha portato a osservare senza cercare il sensazionalismo. L’avvicinamento non è stato semplice: diffidenza, storie confuse, vite segnate da dipendenze e controlli continui. Ma, a poco a poco, i volti si sono aperti. Ho incontrato Carlo, che ha vissuto anni in tenda; Lucio e Claudia, artisti di strada; Dario, che ha sacrificato la casa per il figlio in carcere e attende il suo ritorno con un camper comprato in anticipo.

E poi Chris, tedesco, da vent’anni a Ostia. Vive tra due camper trasformati in giardino anarchico. Cinque figli lontani, una madre in Baviera che ancora lo chiama. La sua vita è un equilibrio tra degrado e dignità, tra solitudine e resistenza. Con lui ho imparato che anche in condizioni estreme c’è spazio per bellezza, cura e ironia: le piante irrigate, i cani amati, i racconti condivisi. La sua fiducia, guadagnata nel tempo, è stata un dono.

Portargli le foto dei suoi cani è stato un gesto minimo, ma ricco di significato. L’incontro con Chris e gli altri non è stato solo documentazione, ma una lezione: dietro il buio, c’è sempre un filo di luce.

In fondo, la verità sta nei particolari.

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